Molti militanti animalisti, tra i quali io, vedono l'abolizione della carne come una tappa sul cammino verso una società sempre meno specista (altri parlano di una tappa "verso la fine di tutto lo sfruttamento animale").
Senza rinnegare questa prospettiva, ce n'è un'altra, complementare, che dobbiamo sviluppare per rinforzare il sostegno all'idea di abolizione. Dobbiamo mostrare che l'abolizione della carne è la soluzione più realistica a quelli che la nostra società considera già dei problemi seri rispetto alla produzione della carne.
Infatti, oltre alle questioni ambientali (inquinamento, etc.), sanitarie (malattie epizootiche) ed economiche (sovvenzioni, etc.) poste dalla produzione della carne, la questione delle condizioni di vita - e di morte - degli animali di allevamento è anch'essa già considerata importante(1), e problematica, da molte persone. Infatti pratiche di allevamento come la reclusione in gabbia, l'affollamento all'interno di edifici chiusi, o le mutilazioni in vivo, sono già oggetto di forte riprovazinoe da parte del pubblico(2).
Mapur essendo in una certa misura ammesso che si possa rifiutare a titolo personale di consumare i prodotti animali, nel momento in cui si tratta di pensare soluzioni collettive a questi problemi l'unico approccio considerato realista è il miglioramento delle condizioni di allevamento. La tesi implicita è che a forza di migliorare le condizioni di allevamento si finirà per arrivare ad una situazione accettabile per gli animali. E che abolire la carne non è realistico, che è addirittura utopico.
Una sfida alla quale il nostro movimento deve confrontarsi è mostrare che ciò che è utopico non è immaginiare una società senza carne, ma credere che si possa un giorno arrivare ad offrire una vita adeguata e una morte senza sofferenza al miliardo e più di animali uccisi ogni anno per la carne in Francia.
Con l'avanzare del dibattito sulla questione dell'abolizione, ci verrà domandato con insistenza sempre maggiore: «perché abolire se esistono altri mezzi per risolvere i problemi?»
Oltre a ricordare che il mattatoio è già in sé un problema, sta a noi chiedere a nostra volta in che modo concretamente si potrebbero produrre le centinaia di migliaia di tonnellate di carne e i miliardi di uova che si producono ogni anno in Francia senza che gli animali ne soffrano come avviene oggi? Sta a noi chiedere: in che modo, realisticamente, un allevatore che produce carne di pollo con decine di migliaia di uccelli potrebbe, con tutta la buona volontà del mondo, offrire loro condizioni di vita adeguate? In che modo, ad esempio, potrebbe curare i suoi animali malati quando non ha neanche il tempo di passarli in rivista uno ad uno con lo sguardo ogni giorno?
A coloro che sostengono che l'abolizione non è realistica, ma che riconoscono i problemi posti oggi dalla produzione di carne, chiediamo: quanti ettari supplementari occorrerà stanziare al settore dell'allevamento? Quante migliaia (o milioni) di persone bisognerà pagare per occuparsi correttamente di animali? e di quanto verrà moltiplicato, di conseguenza, il prezzo della carne? E quali altre soluzioni costose bisognerà ancora mettere in pratica? La nostra società è davvero pronta a tali stravaganze per un prodotto che - cosa ormai risaputa - non è affatto necessario per vivere in buona salute?
La domanda se l'approccio attuale, che vuole risolvere i problemi della produzione della carne attraverso miglioramenti successivi, sia realistico o no è pressoché assente dal dibattito pubblico al giorno d'oggi. Infatti:
Senza rinnegare questa prospettiva, ce n'è un'altra, complementare, che dobbiamo sviluppare per rinforzare il sostegno all'idea di abolizione. Dobbiamo mostrare che l'abolizione della carne è la soluzione più realistica a quelli che la nostra società considera già dei problemi seri rispetto alla produzione della carne.
Infatti, oltre alle questioni ambientali (inquinamento, etc.), sanitarie (malattie epizootiche) ed economiche (sovvenzioni, etc.) poste dalla produzione della carne, la questione delle condizioni di vita - e di morte - degli animali di allevamento è anch'essa già considerata importante(1), e problematica, da molte persone. Infatti pratiche di allevamento come la reclusione in gabbia, l'affollamento all'interno di edifici chiusi, o le mutilazioni in vivo, sono già oggetto di forte riprovazinoe da parte del pubblico(2).
Mapur essendo in una certa misura ammesso che si possa rifiutare a titolo personale di consumare i prodotti animali, nel momento in cui si tratta di pensare soluzioni collettive a questi problemi l'unico approccio considerato realista è il miglioramento delle condizioni di allevamento. La tesi implicita è che a forza di migliorare le condizioni di allevamento si finirà per arrivare ad una situazione accettabile per gli animali. E che abolire la carne non è realistico, che è addirittura utopico.
Una sfida alla quale il nostro movimento deve confrontarsi è mostrare che ciò che è utopico non è immaginiare una società senza carne, ma credere che si possa un giorno arrivare ad offrire una vita adeguata e una morte senza sofferenza al miliardo e più di animali uccisi ogni anno per la carne in Francia.
Con l'avanzare del dibattito sulla questione dell'abolizione, ci verrà domandato con insistenza sempre maggiore: «perché abolire se esistono altri mezzi per risolvere i problemi?»
Oltre a ricordare che il mattatoio è già in sé un problema, sta a noi chiedere a nostra volta in che modo concretamente si potrebbero produrre le centinaia di migliaia di tonnellate di carne e i miliardi di uova che si producono ogni anno in Francia senza che gli animali ne soffrano come avviene oggi? Sta a noi chiedere: in che modo, realisticamente, un allevatore che produce carne di pollo con decine di migliaia di uccelli potrebbe, con tutta la buona volontà del mondo, offrire loro condizioni di vita adeguate? In che modo, ad esempio, potrebbe curare i suoi animali malati quando non ha neanche il tempo di passarli in rivista uno ad uno con lo sguardo ogni giorno?
A coloro che sostengono che l'abolizione non è realistica, ma che riconoscono i problemi posti oggi dalla produzione di carne, chiediamo: quanti ettari supplementari occorrerà stanziare al settore dell'allevamento? Quante migliaia (o milioni) di persone bisognerà pagare per occuparsi correttamente di animali? e di quanto verrà moltiplicato, di conseguenza, il prezzo della carne? E quali altre soluzioni costose bisognerà ancora mettere in pratica? La nostra società è davvero pronta a tali stravaganze per un prodotto che - cosa ormai risaputa - non è affatto necessario per vivere in buona salute?
La domanda se l'approccio attuale, che vuole risolvere i problemi della produzione della carne attraverso miglioramenti successivi, sia realistico o no è pressoché assente dal dibattito pubblico al giorno d'oggi. Infatti:
- coloro che mangiano o producono la carne, così come quelli che sono aperti ad un miglioramento delle condizioni di produzione, hanno un forte interesse a dare una risposta positiva alla domanda, per legittimare le loro attività(3) ;
- quanto ai militanti favorevoli all'abolizione della carne, molti si disinteressano a priori alla questione, affermando che in ogni caso non è legittimo uccidere animali per mangiarli (o che ogni sfruttamento, anche senza sofferenza, non è accettabile).
Argomentare che la produzione di carne non è eticamente legittima non dovrebbe impedirci di mostrare che l'approccio messo in pratica attualmente per risolvere i problemi causati da questa produzione è molto meno realistico della sua abolizione.
Antoine Comiti
(1) In un sondaggio commissionato a fine gennaio 2004 per l'Assemblea permanente delle camere d'agricoltura e la rivista «60 milioni di consumatori», alla domanda «rispetto alle condizioni di svolgimento dell'agricoltura, quale importanza attribuite al benessere animale?», il 78% degli intervistati ha risposto «molta». I risultati completi di questo sondaggio, realizzato su un campione di 1002 persone, sono disponibili su http://minilien.com/?XiGWdB14tH
(2) Infatti, secondo un sondaggio realizzato alla fine dell'ottobre 1999, il 95.2% delle persone intervistate ritiene che «in allevamento intensivo, gli animali non hanno abbastanza spazio» e l'80.5% ritiene che «le mutilazioni sono inammissibili». Sondaggio su un campione rappresentativo di 874 persone realizzato per iniziativa dell'associazione Consommation, logement et cadre de vie (CLCV) con il contributo della Direction générale de l'alimentation (DGAL); citato in Florence Burgat, « La demande concernant le bien-être animal », Le Courrier de l’environnement dell’INRA, numero 44, ottobre 2001, http://brg.jouy.inra.fr/Internet/Produits/dpenv/burgac44.htm.
(3) Non si tratta qui di rimettere in questione il ruolo generalmente positivo, a mio avviso, che giocano le campagne (non speciste) di miglioramento delle condizioni di allevamento, le quali, oltre a giovare agli animali coinvolti, contribuiscono a far vedere ad un largo pubblico la realtà della produzione della carne e a ricordare che gli animali cosiddetti «da reddito» sono, come noi, degli esseri sensibili.
(Tradotto in italiano da Agnese Pignataro)