27 settembre 2007

Abolire la carne non equivale ad abolire lo specismo

Voler abolire la carne può sembrare folle e ambizioso. Del resto, il primo ostacolo è proprio qui: rendere pensabile la possibilità di abolire la carne. E visto il numero colossale di individui implicati, l'abolizione sarà un avvenimento notevole.

Nello stesso tempo, si tratta di un obiettivo assai modesto. Modesto, perché è evidente che la carne non è la causa di tutte le vite e morti miserabili su questo pianeta. È addirittura una fonte di piacere per molti - umani e non - la cui vita può essere miserabile in altri modi.

Modesto anche perché abolire la carne non equivale ad abolire lo specismo: si può trovare inaccettabile ciò che gli umani infliggono agli animali per mangiarli e comunque continuare a pensare che ciò che sente una bestia conta meno di ciò che sente un umano.

Che questo piaccia o no, l'abolizione della carne non esige dunque che la gente rimetta radicalmente in questione il posto degli umani tra gli esseri viventi, e ancor meno che cambi completamente la sua visione del mondo e di ciò che la società deve essere. Questa è una delle ragioni che rendono tale abolizione raggiungibile nel mondo attuale.

Detto ciò, è chiaro anche che dibattere sull'abolizione della carne equivale a discutere dell'importanza da accordare agli interessi dei diversi individui coinvolti, umani e non. E che la resistenza a questa abolizione sarà tanto economica che ideologica.

Ma resta il fatto che abolire la carne non equivale ad abolire l'insieme delle idee e delle pratiche speciste.

Erik Marcus, nel suo libro «Meat Market(1)», fa questa analogia con l'abolizione dello schiavismo :
« Gli sforzi che mirano a smantellare l'industria dell'allevamento saranno indubbiamente paragonati al movimento di abolizione dello schiavismo del XIX secolo. [...] i due movimenti sono identici su un aspetto: nessuno dei due cerca di raggiungere la perfezione. Dopo la guerra di Secessione, i Neri americani hanno continuato a sopportare prove come la segregazione e la discriminazione [...] Buona parte di questa oppressione successiva all'abolizione avrebbe di sicuro potuto essere prevista dalla leadership del movimento abolizionista. Perché allora il loro programma era così limitato? Questi limiti del programma abolizionista non si spiegano come manifestazioni di pigrizia o indulgenza. Questi limiti erano, in realtà, la pietra angolare di una brillante strategia. A quell'epoca, lo schiavismo era il più grande torto inflitto ai Neri dai Bianchi. [...]

Il grande successo dell'idea di abolizione era di riconoscere che, qualsiasi fossero le vostre opinioni sulla questione della razza, non c'era bisogno di essere estremamente progressisti per considerare lo schiavismo abominevole. [...] Molte persone che hanno combattuto e sono morte per abolire lo schiavismo avevano idee che oggi sarebbero giudicate razziste. Ma, per sostenere l'abolizione, la gente non era obbligata a sostenere l'idea di uguaglianza tra le razze. Gli abolizionisti chiedevano solo che gli Americani riconoscessero che lo schiavismo era un male orribile ed agissero per mettervi fine. Abolito lo schiavismo, denunciare e combattere forme più sottili di oppressione era solo questione di tempo. »

Antoine Comiti

(1) In questo libro in inglese, apparso nel 2005, l'animatore del sito Vegan.com spiega perché ritiene impossibile riformare realmente i metodi di allevamento ed invoca lo sviluppo di un movimento per lo "smantellamento dell'allevamento" ("dismantlement of animal agriculture").

(Tradotto in italiano da Agnese Pignataro)

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